giovedì 2 dicembre 2010

Il Bello

E' andata così. Forse per qualche libro importante letto da molto piccola, forse per essere cresciuta tra i fiori del mio babbo e la cupola del Brunelleschi; forse grazie a qualche insegnante che credeva nel suo lavoro, forse come frutto insperato di un'insana ricerca di perfezione. Se dovessi dire cosa mi rende felice, oserei la maiuscola e risponderei la Bellezza. Camminare su un palco vuoto dopo l'ultima recita di uno spettacolo, gioire per l'esattezza di un'etimologia, parlare greco. E poi la Bellezza della lotta, della resistenza, del coraggio. Kalos k'agathos, insomma. E' andata così.

E Lui mi manda un messaggio. Una voce! Il mio diletto! Mette una desinenza di terza singolare al posto di una di seconda, è un errore del T9, non ci ha fatto caso (quando cazzo imparerai a scrivere?). E poi che importa, vuole vedermi, ha bisogno di me. O mia colomba, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro. (si tromba pochino anche da codeste parti, eh?). Ma no, vedersi non è saggio (io un c'ho mica voglia, che palle!). Lui insiste. Aprimi, sorella mia, mia colomba, mia sposa, perfetta mia, perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne. (ma un poster della Canalis no?) No, davvero, è meglio di no, per il bene di entrambi (che palle che palle che palle....). Dice son lì tra dieci minuti. Eccolo, egli sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia attraverso le inferriate (e che cazzo!). D'accordo, vieni (ecco via, sono idiota). Eccolo. Elegantissimo. Somiglia il mio diletto a un capriolo, o a un cerbiatto. (Bello! col vestito della festa! Bello, con la brillantina in testa! Bello con le scarpe di coppale... MA COME CAZZO TI SEI VESTITO????) Ci abbracciamo a lungo, senza parlare, ché parlare non serve (euh... boh.). Il mio diletto ha messo una mano nello spiraglio, e un fremito mi ha sconvolta. (no venvia dai che poi tu mi fai le macchie su i' muro...). Mentre il re è nel suo recinto, il mio nardo spande il suo profumo. (dai che ti ridai...). Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa (NO CAZZO GLI OCCHI NO IDIOTA). Enjoy the silence. (Tace il violino, sì tace la chitarra, lalala!). Ci salutiamo (sbam!).
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio diletto, che cosa gli direte? (ma vaffanculo!)

Ecco. Il casino è quando, invece della Bellezza, ti ritrovi il Bello.

http://www.deezer.com/it/#music/result/all/il%20bello%20guccini



mercoledì 5 maggio 2010

De Caritate

Io ho un problema riguardo ai mendicanti.
Qualche tempo fa, quando ancora uno o due provini all'anno li facevo, il mio cavallo di battaglia era un pezzo di Benni che iniziava (e inizia ancora, se mai mi decidessi a rispolverarlo) così. Io ho un problema riguardo ai mendicanti. Non ha la stessa poesia di Galoppate veloci, cavalli dai piedi di fuoco alla dimora di Febo, ma funziona, il regista ride e la parte è tua. Cioè mia. Ma nonostante l'amarcord sui miei vent'anni sia uno dei miei passatempi preferiti (proprio come se fossero stati esaltanti per davvero), non è per questo che oggi ripenso al pezzo di Benni. E' che io ho un problema riguardo ai mendicanti. Le lettere dritte indicano che mi assumo le mie responsabilità. Prima di tutto, definiamo la categoria: per mendicante intendo qui, con una generalizzazione spietata, ogni persona fisica o associazione dedita alla richiesta di denaro in luoghi pubblici, contro merci, servizi o niente. Ergo una forchetta che va dal barbone col cagnolino (il barboncino, appunto), al volontario della croce rossa che ti chiede il bonifico permanente; sono esclusi invece quelli che ti fermano coi questionari sulle mozzarelle e i deodoranti, che non solo non chiedono soldi, ma a volte ti regalano anche qualche gadget a intervista finita, tipo dei magneti da frigo a forma di ricotta o addirittura campioncini di dopobarba. Personalmente adoro rispondere alle inchieste di mercato, sono minuziosissima nell'indicare quanti pacchi di pasta compro al mese, quante volte uso il disincrostante per wc, se preferisco il succo di mango o quello di frutto della passione. Ma torniamo ai mendicanti, e analizziamo meglio i molteplici aspetti del problema che essi rappresentano per la mia coscienza. Il mendicante comune, il modello base, per così dire, è quello che sta seduto per strada col piattino/cappello/bicchiere, zitto, spesso dormiente o comunque con l'occhio perso: è il più facile da oltrepassare con la coscienza pulita, in fondo, mi dico, la sua richiesta non è esplicita, quantomeno non è ben formulata (la presenza del piattino non vuol dire necessariamente che i passanti vi debbano deporre delle monete) né ben perorata (il presunto richiedente non guarda neanche i suoi potenziali benefattori). Poi c'è il mendicante col cartello, e lì tutto dipende dal cartello, appunto, che deve innanzitutto essere chiaro e sintetico perché il passante non debba stare tre ore a decifrarlo prima di stufarsi e proseguire; inoltre bisogna che sia verosimile: se tu mendicante mi scrivi che hai diciotto figli, di cui nove ciechi, uno monco, cinque alcoolizzati e tre ciechi, monchi e alcoolizzati, io mi sento autorizzata a trottare via col ghigno di chi ha capito l'inganno e non si è lasciato abbindolare. Nel caso poi in cui il cartello dicesse la verità... sei troppo sfigato perché il mio misero euro ti possa aiutare. La terza sottocategoria, mendicante con bambino o cagnolino (ah, Benni...), a mio avviso si è già autocondannata al fallimento, perché la maggior parte dei passanti - me compresa - si fa scudo col mantra non cederò al tuo vergognoso ricatto. Fallimentare anche la strategia di quelli che pregano con la faccia sul marciapiede (non mi hai visto, posso far finta di non averti visto neanch'io) e di quelli che gemono per favore a ripetizione, anche quando non passa nessuno (se la tua richiesta non è indirizzata in modo preciso, io non mi sento chiamata in causa). Questo per i mendicanti passivi. Poi ci sono quelli attivi, cioè quelli che si alzano, ti parlano, cercano o meno di venderti qualcosa. Lì per me è un disastro: la mia coscienza non prevede la possibilità di ignorare completamente qualcuno che mi sta chiaramente rivolgendo la parola (e questo è il motivo per cui mi fermo a dibattere anche con tutti i loschi figuri che mi propongono svariate pratiche sessuali), perciò, cortesemente, li ascolto e sorrido. Il guaio è che questo mio atteggiamento incoraggia il mendicante/venditore, che si sente sempre più sicuro del mio contributo man mano che la conversazione prosegue; io intanto penso a tutti i modi onorevoli per venirne fuori senza cavare un centesimo, ma spesso mi dico che ormai è troppo tardi e scucio la monetina, scusandomi di non avere di più (ho sviluppato tutta una tecnica per non far tintinnare eventuali altre monetine e poter così dire non ho altro). Quando riesco a farmi coraggio, opero invece una severa selezione in base alla simpatia del mendicante, per esempio al tipo che sta tra l'edicola e il negozio di surgelati do la monetina volentieri perché è gentile e divertente, mentre a quello che cerca di vendere dei quadretti a Saint-Michel con la scusa di finanziare uno spettacolo teatrale no, perché è particolarmente stronzo: in un momento di rara fiducia in me gliel'ho anche detto, je ne vous donnerai rien parce-que vous etes très désagréable. Ma l'ostacolo più difficile sono i peroratori di cause nobili: lì, l'unica soluzione è non farsi fermare, ad ogni costo; si può far finta di parlare al cellulare, guardarsi intorno con aria stranita come in cerca di una via e poi cambiare direzione all'improvviso (eureka), correre affannosamente a un appuntamento inesistente. Impossibile, almeno per me, entrare in un negozio, comprare qualcosa e non fermarsi a parlare col peroratore di cause nobili: hai i soldi per comprarti le scarpe, e non vuoi fare un bonifico a favore degli orfani ugandesi? (ah, Benni/2...) Un tempo era facile, non avevo un conto corrente e il bonifico proprio non avrei potuto farlo: allora camminavo raggiante tra tutti i peroratori di cause nobili, mi facevo fermare, ascoltavo, facevo domande, e alla fine mi dispiacevo di non poter contribuire... lo so, potrei semplicemente continuare a dire che non ho un conto corrente, ma la bugia semplice la mia coscienza non la ammette, pretende solo menzogne a metà o menzogne creative... Sempre parlando di peroratori di nobili cause, vale la pena soffermarsi su tre esempi atipici : 1) I sordi. I sordi sono divertentissimi, ti arrivano alle spalle o ti fanno grandi cenni per fermarti, quasi tu fossi un aereo, poi ti porgono un foglio da firmare e vogliono cinque euro, giustificandosi col solo fatto d'esser sordi (tutto questo è spiegato nel foglio che devi firmare): ora, è chiaro che è una truffa bell'e buona, ma come glielo dici al sordo che i cinque euro non glieli dai? Personalmente, mettermi a fare gesti bizzarri per strada non mi viene naturale; invece mi ritrovo a urlare in faccia al sordo NO NO CINQUE EURO NO NO DARE, con l'intima certezza che un linguaggio povero e un volume elevato mi rendano comprensibile a chiunque. Il sordo mi guarda basito, e io me ne vado esasperata, dicendomi che non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. 2) I gay. Tempo fa vado a fare scorta di tè, e mentre torno a casa mi ferma questo tipo e mi fa: Buongiorno, sono di un'associazione di gay discriminati che per vivere si prostituiscono. Però vogliamo smettere di battere, per cui vendiamo un libro (ciclostilato, ndr) di storie porno gay a fumetti. Costa quindici euro. Se me ne dai venti ti do un bacio. Cazzo. Lì mi sarebbe piaciuto chiedergli come mai erano ridotti a tanto, invece di denunciare chi li discriminava e di scrivere magari una bella lettera al sindaco, gay pure lui... però ho avuto paura che il tipo si offendesse e classificasse anche me come omofoba, cosa che non avrei potuto sopportare per niente al mondo, e quindi gli ho sganciato ben due euri, rimandando l'acquisto del fumetto porno e il bacio a un'altra occasione e complimentandomi per la lodevole lotta all'oppressore, quasi non fossimo a Parigi, ma in una nazione arretrata come, che so io, l'Italia. 3) La lotta all'AIDS. Quelli della lotta all'AIDS sono inquietanti; non fraintendetemi, non sto parlando dei volontari che raccolgono fondi per la ricerca , con il gazebo, l'azalea e tutto: questi sono muniti solo di un formulario per le firme, una cassa per i soldi e un tavolo ricoperto da una tovaglia verde, e sono sempre in strada, con la pioggia o col sole. Combattono l'AIDS a mani nude, per così dire. Nel resto d'Italia (qui parliamo d'Italia) non so, a Firenze hanno la base in via Roma, ma per evitarli a volte non basta neanche fare tutto il giro di Orsanmichele, perché mandano uomini in borghese a reclutare passanti in tutto l'isolato; una volta che ti hanno accalappiato, cosa in cui sono abilissimi, ti chiedono almeno dieci euro contro l'AIDS e una firma, e soprattutto, non mollano mai la presa. Ripeto, non dieci euro per la ricerca, semplicemente dieci euro per dire No all'AIDS, per spaventare a colpi di biglietti di banca questo temibile signor AIDS. Però sul loro formulario, alla voce "professione", puoi scrivere attrice e sentirti figa.
Nonostante tutto ciò che ho scritto finora, ho scoperto di avere un problema coi mendicanti soltanto ieri. Vado a fare la spesa vicino a casa, e davanti al minimarket c'è una coppia punk strafiga, con tutti gli spunzoncini e il trucco e le spille da balia al posto giusto; un'anonima donnina esce dal negozio con le buste della spesa, e la ragazza le chiede dei soldi; la donnina dice no e prosegue. La ragazza allora le urla dietro Sì sì, continua così, resta come sei ché fai bene, e ride insieme al suo ragazzo. E lì mi è montata una rabbia... Allora, casomai un Tizio o un Caio che non mi conoscono capitassero su questo blog: non ho nulla contro i punk, anzi, quanti bei (?) ricordi... però il mix di idiozia e strafottenza mi dà veramente sui nervi e, informazione sempre a beneficio di Tizio, perché qualcosa mi dia sui nervi ce ne vuole. Si finisce a chiedere l'elemosina per tanti motivi, che non starò qui a giudicare se siano legittimi o no, ma condizione necessaria per farlo è il bisogno. Ora, se si hanno diciott'anni, un trucco perfetto, una graziosa gonnellina tarlata, un magnifico bustier con un sacco di borchie e degli stivaloni lunghissimi con le zeppe, più una serie di gioielli pieni di teschi, difficilmente si può sostenere di aver bisogno dell'elemosina altrui; per chi rifiuta il mondo e il "sistema", tentazione comprensibile di questi tempi, ci sono svariate possibilità, dal farsi frate francescano al ritirarsi su una montagna vivendo di caccia e raccolta: per i più insofferenti esiste la possibilità di stordirsi in qualche paradiso artificiale, a patto però che si facciano di peyote o simili senza comprare droghe sintetiche dalle organizzazioni criminali che affamano i poveri della terra e distruggono il pianeta... o no? In ogni caso, la scelta tra fottere il sistema e lo smalto nero Chanel si impone. Vero è che lo smalto Chanel è bellissimo. Vero è, anche, che non si può pretendere una piena coscienza di sé e del mondo da un diciottenne, e che un po' di pseudoribellione non ha mai fatto male a nessuno, che passerà, che non c'è bisogno di prendersela, sono solo un po' idioti, son solo ragazzi.
Appunto. Mi sa che sto invecchiando.

domenica 18 aprile 2010

StripTease!

"Un mese senza valentino, e già questo blog stagna!" , si sarà detto qualche malevolo lettore. Ebbene, si sbaglia di grosso, perché mi basta tornare indietro nel tempo per trovare altri entusiasmanti soggetti... no, no, calmi, buoni, per favore, non sto parlando di M., non scriverò più una riga su di lui, giuro... (alcuni lettori, amici di lungo corso della blogger, all'espressione "indietro nel tempo" se l'erano già vista brutta e, temendo un ennesimo fiume di parole su questo tale M. - chi sarà mai? - avanzavano minacciosi e armati fino ai denti).
No, parrà strano, ma non sto davvero parlando di M. Né del Pakistano dei 20 euro. Né del marine dal volto umano. Neanche dei vari pittoriporconi di tutte le nazionalità.

Questa è una storia mai raccontata, questa è la Torbida Vicenda di Cristiano S.

Nel lontano 1989 avevo sette anni e, nonostante fossi una bambina di un'antipatia rara, avevo anche qualche amico; per noi bimbi di paese di vent'anni fa non c'erano playstation e computer e neanche cinema e giostre, ci si vedeva a casa dell'uno o dell'altro e si facevano giochi classici che ormai non vanno più di moda (o tempora, o mores), tipo
le signore, le mamme etc. Ora, nel lontano 1989 mi capitò di avere un amico maschio, un compagno di classe gracilino e brutto come il peccato, Cristiano S., per l'appunto, che viveva in una grande casa buia con un sacco di crocifissi alle pareti; in quella casa, il giorno del compleanno di Cristiano S., mangiai per la prima volta la nutella e le patatine finte nei sacchetti, e in più ricevetti in regalo un pagliaccetto di legno a forma dell'iniziale del mio nome: fui conquistata all'istante. Così cominciò la mia amicizia con Cristiano S., e fu una bella amicizia, perché era un bambino curioso e tranquillo con cui si poteva stare a guardare i fiori e le bestioline nei prati senza rischiare botte o prepotenze; certo però non ci si poteva giocare alle signore, perché lui era un maschio e io una femmina. Per la prima volta mi trovavo a dover considerare questa strana differenza tra i sessi e a doverla risolvere anche velocemente, in modo che io e Cristiano S. potessimo avere un altro gioco da fare una volta stanchi delle bestioline e dei fiori; con grande prontezza e lucidità (due qualità attualmente in via d'estinzione, ma allora ben presenti nel mio cervellino) proposi che le signore diventassero il signore e la signora, e le mamme, la mamma e il babbo. Cristiano S. accettò di buon grado, e iniziammo una lunga serie di episodi del tipo la mamma e il babbo fanno la spesa, la mamma e il babbo al ristorante, la mamma e il babbo leggono il giornale e accarezzano il cane, con grande soddisfazione di entrambi. A un certo punto, però, la mamma e il babbo avevano già piantato fiori, passato l'aspirapolvere, telefonato ad amici, ridipinto il soggiorno, pianificato le vacanze, sgridato i bambini per i brutti voti e spulciato il cane... a mio avviso avevano bisogno di un po' di meritato riposo, e proposi di passare alla tappa la mamma e il babbo vanno a letto. Cristiano S. si disse d'accordo e si stese subito sul letto, con le scarpe, gli occhiali e tutto. E lì mi ribellai: che si è mai visto uno che dorme vestito di tutto punto? Non pretendevo un realismo da regia stanislavskiana, ma un minimo di buon senso sì: iniziai così a spogliarmi con molta calma, golfino maglietta pantaloni calzini mutande, per poi infilarmi sotto le coperte. Per il povero Cristiano, nomen omen, fu troppo: con mia grande sorpresa, si tappò gli occhi con le mani e prese a gridare NO BASTA SMETTI SMETTI, e scoppiò in lacrime quando vide che non accennavo a fermarmi; a me dispiaceva molto che lui soffrisse per una cosa tanto normale, e cercai di farlo ragionare spiegandogli molto tranquillamente che i miei genitori si spogliavano tutte le sere e che anche i suoi senza dubbio lo facevano, ma il mio discorso, invece di rassicurarlo, lo terrorizzò ancora di più: NON E' VERO, I MIEI GENITORI NO, I MIEI GENITORI NO, urlava. E così ci trovò finalmente la mia mamma quando venne con la merenda e subito mi fece rivestire, cosa che trovai sommamente ingiusta e irragionevole; Cristiano S., dal canto suo, non si fidava più neanche di lei e volle tornare a casa.
Venne il suo babbo a prenderlo, un signore secco secco e alto alto (o forse alto alto sembrò a me piccola piccola) con la cravatta, che faceva il notaio; trovò il figlio in lacrime e parlò col mio babbo in giardino. Non so cosa si siano detti, li osservavo da lontano, ma mi ricordo perfettamente che nell'erba c'era un grillo che cantava, e che il babbo di Cristiano S., esasperato da quel suo cri cri monotono, lo schiacciò con la sua scarpa da notaio. Vent'anni fa cosa fosse un simbolo non lo sapevo ancora, ma quel signore allampanato non mi piacque per nulla, e per molto tempo ho avuto una gran paura dei notai.

Da quel giorno non vidi più Cristiano S., né a scuola né in paese. La sua rapidissima sparizione dalla mia vita resta un mistero, davvero non capisco come abbiano fatto i suoi a "proteggerlo" così bene dalla mia nefasta influenza; la mia mamma mi spiegò poi che erano persone un po' rigide, e che era meglio perderle che trovarle. Prima di scrivere questo post, ho cercato Cristiano S. su google e su facebook: l'ho trovato fotografato su uno scoglio, capello lungo, slippino nero striminzito e tentativo di addominale figo; pare faccia il pittore e abbia una galleria d'arte. Tiro un sospiro di sollievo: forse quel pomeriggio del 1989 sono riuscita a turbarlo per davvero.


domenica 28 marzo 2010

Intercettazioni

Di recente mi sono trovata ad ascoltare involontariamente una curiosa conversazione intima tra un uomo e una donna di mia conoscenza; subito è apparso chiaro che il materiale raccolto sarebbe stato un ottimo soggetto letterario, ma mi sembrava indelicato e irrispettoso utilizzarlo a tal fine. Dopo attenta riflessione, decido oggi di pubblicare la conversazione così come l'ho ascoltata, rinunciando a ogni rielaborazione personale e avendo cura di garantire la privacy delle due persone in questione, che chiamerò (seguendo la lezione di semplicità di Du) Soggetto F e Soggetto M.

Soggetto M: Volevo chiederti... Di cosa hai voglia dopo che abbiamo fatto l'amore?
Soggetto F: Eh... A volte di tornare a casa mia. Scusa eh, ma mi prende proprio una gran perdita di senso... Però di solito ho voglia di stare contro di te, semplicemente. Provo una gran tenerezza per te.
Soggetto M: ...
Soggetto F: ... E te?
Soggetto M: Eh... Io in effetti lo vivo un po' male questo momento... Per esempio ora vorrei andare nella stanza accanto.
Soggetto F: ... Ah. Allora siamo sulla stessa lunghezza d'onda.
Soggetto M: Sì.
...
Soggetto M / Soggetto F: Dovremmo smettere.
Soggetto M / Soggetto F: Sì.
Soggetto M: Questa situazione non ci aiuta a svilupparci. Ad aprirci agli altri.
Soggetto F: Ci fa comodo, non prendiamo rischi. Sappiamo che funzioniamo molto bene insieme e ci accontentiamo. A me fa fatica cercare qualcun altro, questa situazione mi fa comodo.
Soggetto M: Io sono uscito con altre ragazze, però non c'è verso. Non ce la faccio. Passo una bella serata, ma non riesco a concludere.
Soggetto F: ...
Soggetto M: Proprio non mi viene voglia. A causa tua. Solo con te ho voglia.
Soggetto F: ...
Soggetto M: Solo tu mi ecciti. Ogni cosa in te mi eccita. Le altre non mi eccitano. Io ci provo eh, ma non mi eccitano.
Soggetto F: ... Ah. No, ma non ti preoccupare. Vedrai che prima o poi troverai qualcuno con cui sarà naturale. Qualcuno con cui vivere una vera storia d'amore, anche.
Soggetto M: Lo spero.
Soggetto F: Anch'io. Cioè... lo spero per te, ma anche un po' per me. Di vivere una vera storia d'amore, dico.
Soggetto M: Sì. Per questo penso che dovremmo smettere. Da troppo tempo andiamo avanti così. Quant'è, un anno e mezzo?
Soggetto F: Oddio, c'è stato anche un periodo...
Soggetto M: E' vero, all'inizio non era così.
...
Soggetto F: Sì, comunque è troppo tempo. E poi si degrada tutto sempre di più.
Soggetto M: E' che è difficile... Tipo ora ho già voglia.
Soggetto F: ...
Soggetto M: Tu no, lo so.
Soggetto F: No, però non ti preoccupare, tra poco mi tornerà.
Soggetto M: Che casino. E' che ti voglio bene.
Soggetto F: Anch'io. Certo che l'onestà è un bene, però è brutto quello che ci stiamo dicendo...
Soggetto M: Forse l'ho fatto apposta per disgustarti. Ti ho disgustato, vero?
Soggetto F: Mah, oddio, altre volte mi hai disgustato molto di più.
Soggetto M: Ah, tipo quando?
Soggetto F: A casa mia...
Soggetto M: Ah sì, in effetti...
Soggetto F: Certo che è strano... Io sono molto legata a te, però non ho niente da dirti. Ma non voglio che tu sparisca dalla mia vita. Per questo c'è il sesso.
Soggetto M: Anch'io sono molto legato a te. In modo diverso, credo.
Soggetto F: ...
Soggetto M: Tipo ora... ?
Soggetto F: ...
Soggetto M: Per l'ultima volta.
Soggetto F: Per l'ultima volta.

omissis

...
Soggetto M: Hai voglia di parlarmi?
Soggetto F: ...
Soggetto M: Dimmi qualcosa. Basta che non sia roba politica.
Soggetto F: Già, hai votato?
Soggetto M: No. E spero che queste elezioni passino presto, ora in televisione non c'è altro. Fra un po' ci sono i mondiali, però.
Soggetto F: ...
Soggetto M: La rivincita!
Soggetto F: ...
Soggetto M: Parlami. Raccontami qualcosa. Una storia.
Soggetto F: ... Ah sì, ho trovato.
Soggetto M: ... (poco dopo lo si sente russare)

Queste righe non hanno bisogno di commento, e io non voglio certo mettermi a dar giudizi.
Certo però che se uno così fosse capitato a me...

mercoledì 17 febbraio 2010

Impara il francese con Le Pen! - Test di San Valentino

E così quest'anno non ci siamo fatti mancare neanche San Valentino. Mai dire mai. Prima di entrare nel vivo della questione voglio mettere in chiaro subito che non risponderò a domande bolsceviche lesive della mia privacy come quelle che -lo so- state per farmi, "voi chi?", "ma non vi eravate lasciati?", "è la novella dello stento" e via di seguito.
Dunque, abbiamo vagamente festeggiato San Valentino. Poiché la conversazione e lo scambio culturale non sono il nostro forte, siamo andati sul classico, sesso e tv, per fortuna non in parti uguali; del sesso tacerò pudicamente, ma volentieri (?) racconto della tv. Tra le migliaia di programmi che si offrivano alla nostra scelta, abbiamo optato decisamente per un dibattito elettorale: per la sinistra, Cécile Duflot (EuropeEcologie) e Benoit Hamon (PS), per la destra Frédéric Lefevbre (UMP) e ovviamente il grande vecchio del FN, il paciosissimo Jean-Marie Le Pen. Tutti riuniti a festeggiare gli innamorati. Orbene, com'è naturale ci appassioniamo alla discussione, e tutto fila liscio finché l'amabile Jean-Marie provoca le ire del mio "valentino" con una delle sue consuete invettive contro i rossi i negri i gialli etc.. "Ma come parla Le Pen?", sbotta la mia dolce metà: io son già tutta fiera di lui, grata alla buona sorte che me lo ha fatto conoscere, avida di nuove parole di sdegno, quando lui -malauguratamente- precisa: "Ostracisme, mais qu'est-ce que ça veut dire?"

Vabbè. Non fa niente. Glielo spiego, ce que ça veut dire, azzardo pure due parole sulla democrazia ateniese stando molto attenta a non esagerare, butto là l'informazione come una cosa senza importanza. E poi ho un'idea geniale (eureka). Un test per aspiranti Valentini, da fare a distanza, direi via mail, prima che amore/sesso/tenerezza/abitudine complichino irrimediabilmente le cose; ne ho elaborato un prototipo che presenta varie tipologie di quesiti e diversi livelli di difficoltà:

1: Trova l'intruso * (facile)
Quale di questi personaggi non è uno dei sette nani?
a. Mammolo
b. Brontolo
c. Pisolo
d. Napoleone
e. Cucciolo


2: Il gioco delle coppie
-cultura generale ** (medio)
Unisci con una freccia gli elementi che formano una coppia:
a. Tom
b. Ollio
c. Minnie
d. Lorenzo - o come dicevan tutti, Renzo
e. Benito Mussolini

1. Claretta Petacci
2. Jerry
3. Lucia
4. Topolino
5. Stanlio


3: Come si scrive... *** (difficile)
Barra la forma giusta:
a. sé nera andato
b. s'enera andato
c. se n'era andato
d. s'è n'era andato
e. senera andato


4: Competenze letterarie **** (molto difficile)
L'eroe omerico Achille viene definito:
a. Piè veloce
b. Rutto facile
c. Toro seduto
d. Testacalda
e. Codaliscia


5: Vocabolario ***** (destinato ai solutori più che abili)
Definisci con parole tue i seguenti vocaboli:
a. Mamma
b. Caffettiera
c. Impermeabile
d. Moltiplicazione
e. Supercalifragilistichespiralidoso


E ora a voi, miei cari lettori ! Armatevi di carta, penna e tanta concentrazione! Solo il più preparato potrà diventare il nuovo VALENTINO 2011!!! Il casting è aperto: inviate il vostro test completo di nome, cognome, numero di telefono e non dimenticate di allegare una foto recente!
In bocca al lupo, e buon San Valentino!


sabato 13 febbraio 2010

Ventisette - un post spocchioso

I miei due lettori (non oso neanche augurarmi i venticinque su cui faceva affidamento Manzoni) mi perdoneranno il silenzio degli ultimi tempi, ma non ho più avuto un momento libero da dedicare alla scrittura. Sono stata assunta come conseillère de vente in una elegante boutique del centro di Parigi e il lavoro mi ha assorbito completamente, procurandomi notevoli soddisfazioni e sorprese. Le mie prime clienti sono state due signore greche, con le quali ho subito potuto sfoderare il risultato di quello studio matto e disperatissimo già premiato a suo tempo con un 110 e lode dalla commissione di laurea. Le greche non hanno comprato nulla, ma mi hanno ringraziato nella loro magnifica lingua e io ho considerato la loro apparizione come un segno del destino. Destino che non è stato avaro di nuovi clins d'oeil, visto che poco dopo mi è stato presentato uno splendido giovane che lavora nel negozio accanto e che condivide con noi il magazzino: ebbene, il fascinoso ragazzo risponde all'ancor più intrigante nome di Ulysse. Alla prima stretta di mano avrei voluto attaccare direttamente Lo maggior corno de la fiamma antica e giù di seguito, ma, timida e confusa, ho saputo balbettare solo enchantée. Il piccolo Cupido ha subito scoccato i suoi dardi, e tra me e il bel Ulysse è tutto uno scambiarsi languidi sguardi e graziose parole; una volta si è addirittura chinato a raccogliere un orecchino che mi era caduto, e le nostre dita si sono sfiorate: ci siamo guardati, pudichi e vergognosi, e a vederlo lì inginocchiato ai miei piedi mi è sembrato di colpo di essere Nausicaa, quando per la prima volta lo Straniero le si rivolge con quei versi splendidi, "Io mi t'inchino, signora...", gounoùmè se, ànassa... Poiché Anassa è anche il nome della collezione di cui faceva parte l'orecchino caduto, è ormai evidente che in quel momento il destino mi stava confermando che avevo finalmente trovato la Via e la Missione che tanto avevo cercato... E se i soliti scettici avessero bisogno di un'ulteriore prova, dirò che il nome stesso della boutique è Satellite: e il satellite per eccellenza non è forse quella Luna con cui tanto ho parlato nei miei anni verdi e con cui mi sono identificata? Non è forse quella "solinga, eterna peregrina", quella "giovinetta immortal" che conosce il tutto? ...

****** (volo pindarico)

Nelle sue pseudolezioni di philosophia al liceo, Phulvio tirava fuori ogni tanto la storia dei ventisette anni come data limite per i sogni di gioventù: c'entrava Hegel, sembrava che dicesse che intorno a questa età l'uomo mette da parte le illusioni e si confronta con la realtà della vita, passando a un nuovo stadio di quelle sue coppie dialettiche o roba simile. Sfortunatamente il buon Phulvio pensava che Hegel (come Platone, Spinoza, Bergson etc) fosse un nazista anaffettivo e così non ha mai ritenuto opportuno soffermarsi più nel dettaglio su questa teoria dei ventisette anni e, per non sbagliare, su nessun'altra teoria.
Dieci anni dopo - tempus fugit - mi trovo con imbarazzo a ripensare alle parole di Phulvio come se fossero effettivamente degne di nota. Ho ahimè compiuto i ventisette anni e mi rendo conto che le reali possibilità di concretizzare i miei sogni di bambina, soprattutto in campo artistico, sono pochine. Eppure non mi manca niente, sono anzi un'attrice sublime, ho pronunciato con olimpica serenità battute come "Emise il bianco sperma sfiorando il biondo pelo", appollaiata su rovine etrusche e palpeggiata da più e più mani femminili...

***** (volo pindarico/2)

Mi sono addestrata per anni all'autoironia, unica via di salvezza dall'immagine d'intellettuale legnosa che-ha-fatto-il-classico che mi si stava cucendo così bene addosso. Il risultato, irridi oggi irridi domani, è che mi sono ridancianamente avviata al fallimento su tutti i fronti. Ho deciso quindi di seguire un programma di rieducazione alla serietà - buon proposito per i miei ventisette - per vedere se riesco a combinare qualcosa. Il primo punto del PRS prevede la chiusura di questo blog...

martedì 15 dicembre 2009

Roland Burt insegna

"VOULOIR-SAISIR. Comprenant que les difficultés de la relation amoureuse viennent de ce qu'il veut sans cesse s'approprier d'une manière ou d'une autre de l'etre aimé, le sujet prend la décision d'abandonner dorénavant tout vouloir-saisir à son égard." (R. Barthes, Fragments d'un discours amoureux, ed. du Seuil)*

La risposta era lì, chiara, adamantina. Prendere il sentiero non battuto, la via più difficile, la strada nell'ombra. Non venire a patti col proprio dolore, comprendere di essere gli unici responsabili dei propri rovesci di fortuna e, risolvendo il dubbio amletico, by taking arms end them. Dove arms significa coraggio, dignità, rispetto e chi più ne ha più ne metta. Moderna Lucia Mondella rinchiusa nel carcere della sofferenza, anch'io ho formulato il mio voto.

Rinunzio per sempre a quel mio poveretto...

Miracolo della rinuncia, il cuore è leggero, l'anima è libera, lo spirito fiero. Una nuova era può cominciare, anzi, è già cominciata dentro di me. Seguono giorni di grande speranza. Seguono giorni. E giorni... Finché, in questo rutilante susseguirsi di giorni, non mi viene un dubbio. Stai a vedere che era una tattica? Stai a vedere che era una trappola, e che per di più a finirci dentro sono stata io? Rinuncio a te. Me ne vado. E' meglio così. ... ... ... RINUNCIO A TE ME NE VADO E' MEGLIO COSI' ... ... ... Yuhu? ... Non sei in allarme per questa mia decisione? Non sei intimamente commosso dalle mie parole, al tempo stesso semplici e profonde? Non sei lusingato dalla devozione di cui ti faccio oggetto? Non sei ammirato dal mio coraggio, dalla mia integrità, dalla purezza e dalla profondità del mio amore? Cosa aspetti a renderti conto che stai perdendo una donna eccezionale, cosa aspetti a gridare Resta, in nome d'Iddio! E voi, gnomi e fatine, sette nani, puffi e spiritelli testimoni delle mie buone azioni, perché non vegliate su di me e non fate apparire sul mio cammino fiori magici e lampade dei desideri? Perché vi mostrate sleali verso chi, senza macchia e senza paura, si batte contro l'oscuro potere di Gargamella?

(...)

E resto così, senza uovo né gallina, a ridire ciò che il filosofo dei Simpson Roland Burt ha già detto, con in più l'aggravante di un secondo dubbio, peggiore del primo. Dubbio che l'amore non c'entri poi neanche più di tanto, che sia invece in buona parte questione d'orgoglio, e un pochino anche di rivalsa. Rimane una domanda: perché allora fa così male? Le fa eco una seconda domanda: fa davvero così male?

(... come se fosse facile convincersi a non ridere troppo di sé ...)


*
VOLER-COGLIERE. Capendo che le difficoltà della relazione d'amore derivano dal suo voler continuamente appropriarsi in un modo o in un altro dell'essere amato, il soggetto prende la decisione di rinunciare d'ora in poi a ogni "voler-cogliere" nei suoi confronti.

giovedì 3 dicembre 2009

La Culotte Agressive - Mutatis Mutandis

Casa mia è molto piccola. Quando dico molto piccola, intendo dire che è un buco di 12 mq in cui tutto deve trovare il suo posto. In casa mia regna l'ordine più assoluto. Libri in ordine, posate in ordine, scarpe in ordine. E mutande in ordine.
Le mie mutande sono divise in pile tematiche:
- mutande anonime: sono quelle senza infamia e senza lode, da tutti i giorni, perfette per lo sport se mai mi venisse l'idea suicida di fare sport;
- mutande della solitudine: dette anche mutande del pleistocene, hanno fino a 15/16 anni di vita; sono per lo più regali di qualche parente anziano e presentano motivi a nido d'ape o floreali. Si usano nei periodi di abbrutimento e/o malattia;
- mutande da mestruazioni: ne sopravvive un unico esemplare, ex-bianco, ascellare e bucato;
- mutande non-si-sa-mai: risalgono agli ultimi anni del liceo ma sono ancora in buono stato. Pseudoinnocenti, si usano per feste o serate con possibilità di incontri e ai primi appuntamenti.

E poi ci sono le mutande strafighe, le mutande dionisiache, le mutande champagne-e-fragole. Quelle che, in una memorabile sessione di cazzeggio pre-prove, sono state ribattezzate una volta per tutte "Culottes Agressives".
Le culottes agressives sono avvolte in una speciale velina per proteggerle dalla polvere ed evitare che si impiglino in qualche scheggia o simile, e ovviamente vengono lavate a mano.

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Quando ero piccola, molte delle mie amiche avevano in casa una stanza speciale, segreta, i cui mobili rilucevano discreti nell'oscurità perpetua; era una stanza immensa, affascinante e proibita: era il Salotto Bono. In casa mia invece c'era solo il salotto, dove tutti potevano entrare a piacimento, anche i cani; volgare stanza in cui si cena, si guarda la televisione, si litiga. Neanche un briciolo del mistero che circondava i Salotti Boni delle mie amiche.
Poi il tempo ha portato il disinganno.
E' venuto fuori che il Salotto Bono non svelava i suoi segreti, come credevo io, in occasione di balli principeschi o di riti misteriosi. Semplicemente, veniva il capufficio a cena, e allora gli davano l'arista con le patate nel Servito Bono, stappavano per lui i vini migliori, si vestivano tutti come a un matrimonio, gli leccavano il culo e ridevano alle sue battute. A cena finita, il capufficio era riconfermato nel suo ruolo di superiore e la famiglia tornava a rinchiudersi in cucina; il Salotto Bono veniva rilucidato e restava chiuso fino a una nuova serata dello stesso tipo.

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Penso spesso alle mie mutande. Penso che se le mie azioni avessero una qualche continuità con tutte le mie convinzioni teoriche, potrei tranquillamente portare le Culottes Agressives per fare la spesa. Invece l'idea non mi sfiora neanche. Non voglio ciò che voglio? Esatto. Di più, voglio ciò che non voglio. Sono pronta a lottare con le unghie e con i denti per ciò che non voglio, e non voglio permettere che qualcun altro possa volerlo.
Il capufficio non mi darà mai la promozione. Tra l'altro, io non la voglio, è un incarico che non mi piace, dovrei solo cambiare lavoro. Ma invito il capufficio a cena, lucido per lui il Salotto Bono, stappo i vini migliori e lo faccio sentire un dio. Voglio disperatamente che mi proponga il posto che non voglio...... Ma lui beve il mio vino, fa un macello nel Salotto Bono, rompe un piatto del Servito Bono, magari gli scappa anche un rutto di soddisfazione (come dargli torto, è stato così bene). E se ne va.

C'è aria di licenziamenti. So che sarò la prima. Una volta disoccupata, mi metterò una mutanda del pleistocene e mi chiuderò in cucina. (Non) me la sarò voluta.